Romeo Lucchese: “Le egloghe cristalline di Cavalli”, 1967

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Romeo Lucchese, Le egloghe cristalline di Cavalli, Roma 1967 (presentazione per la mostra al Centro d’Arte “La Barcaccia”)

 

Emanuele Cavalli torna ad esporre a Roma, dopo 23 anni, cioè dopo la personale ordinata nel 1944 alla Galleria dello” Zodiaco”, una serie di opere che vanno dal 1964 al 1967. Si tratta di una grande Mostra nella quale abbiamo il piacere di constatare l’intatta forza creativa e le magistrali qualità artistiche del pittore, che si è sempre più affinato con il tempo.

Il Cavalli attuale non è dissimile da quello da me conosciuto oltre trentaquattro anni or sono. Egli è un pittore-pittore, artista puro, pittore lirico e non di impronta meramente accademica o intellettualistica, perché anzitutto uomo coerente e di sentimenti assai precisi e delicati.

La scelta dei temi delle sue opere e la riservatezza con cui egli lavora armonizzano con lo stile di quest’uomo, saggio come il poeta cinese Wang Wei (699-759) autore delle “Poesie del fiume Wang” (il fiume di Cavalli è l’Ema), di cui riporto questa quartina: Invito a P’ei Ti (traduzione di Martin Benedikter, Ed. Enaudi):

 

Come tu puoi fuggire polvere e reti?

Scuoti la veste, lascia il rumore del mondo;

lontano a distanza, poggiato al flessuoso bastone,

ripeti la strada del Fonte Fiorito di Pesco.

 

Temi di Cavalli sono il paesaggio, la natura morta, il ritratto, e qualche rara composizione di figure. È un vero peccato che non siano presenti in questa Mostra i due ritratti dei suoi nipoti Manuelino e Francesca, opere piene della gioia di vivere di quelle creature dalle espressioni intelligenti e vivaci; dipinti che hanno la squisita intensità dell’interpretazione interiore di un Antonello unita alla grazia esteriore d’un Melozzo, ma in chiave attualissima.

Le pitture di Cavalli non mostrano accentuazioni particolari, nessuna forzatura manieristica; sembrano, a prima vista, opere naturalistiche, ma l’armonia della composizione, la purezza della materia pittorica, l’essenzialità a cui giunge l’insieme sono talmente singolari per cui il suo stile riesce inconfondibile. È un’arte che nel suo procedere moderno ritrova i valori classici. La luce esterna occasionale, dell’ora, raramente diventa elemento creativo in questa pittura. La quale vive di una propria luce interiore fatta di qualità cromatiche finissime ed essenziali.

Il sentimento che proviamo di fronte ad un dipinto di Cavalli è quello stesso che ha provato il pittore nel dipingerlo; cioè quella pura emozione di fronte al paesaggio o alla natura morta che (come accade a colui che suona una pagina di grande musica) ci immerge in quello stato d’animo d’alta corrispondenza con le cose e il creato (levitazione metafisica) dove sensi e spirito sono una sola cosa.

Il rapporto d’armonia ispiratrice fra la musica e la pittura è stato sempre coltivato da Cavalli. Ricordo come dipingeva raccolto e fisso sulle sue tele nel 1934, mentre nello studio si succedevano le Toccate e Fughe di Bach. E questo procedimento di pari passo fra pittura e musica egli continua ad esercitare tuttora. Qualcosa dei sublimi accordi musicali rimane nell’aria dei suoi dipinti. Anche per questo il gruppo di bottiglie, bicchieri, caraffe ed altri oggetti sopra un tavolo può muovere in lui un’emozione singolare ridestante immagini e luoghi mitici colmi di meraviglie e di luminosità interiori, come le hanno i cristalli. E i suoi cristalli derivano dai colori puri che egli impasta con grande maestria. Gli oggetti che l’uomo comune guarda con sguardo pratico per azioni quotidiane diventano per Cavalli oggetti metafisici sconfinanti nell’astrazione e nelle apparizioni, possedendo ogni oggetto e luogo il proprio demone, la propria presenza misteriosa.

Il portento che riesce ad operare Cavalli sta nel rivelare e nel far capire la poesia degli oggetti di uso più comune o degli aspetti meno scenografici di un paesaggio. Questo poeta idillico ed elegiaco della pittura si riflette con efficacia straordinaria presso gli spiriti sensibili rivelando loro realtà magiche attraverso la pittura pura, attraverso i puri valori plastici. Si tratta di lievi, impercettibili, musicalmente perfetti, rapporti di forme, pieni e vuoti, spazi e masse che facendosi immagini ci riempiono di stupore. I suoi dipinti respirano attraverso una materia pittorica essenziale racchiusa in forme di stile elevato e che sono esclusivamente di Cavalli, rimanendo però universalmente e duraturamente comprensibili e partecipabili.

L’universalità che Cavalli raggiunge in questi anni è immune da mode, problematiche, manierismi, stranezze, preziosismi ed estetismi, è la più pura e duratura forma di universalità perché fatta di verità umane a cui possono partecipare tutti gli uomini di cultura o no e non soltanto quelli di alcune tendenze o correnti o movimenti artistici.

Il filone da cui proviene Cavalli è chiaramente visibile e costituisce certamente una delle vie maestre dell’arte moderna: Corot, Cézanne (come si può vedere dalle sue “Parche” giovani e giocose), Morandi, i Valori Plastici, il Tonalismo. Ogni artista di qualità sceglie i propri maestri, anche se questi gli additano una via ardua e che lo porterà all’approdo sicuro soltanto a lunga scadenza ma che, proprio perché si tratta d’una via che rifugge dai successi dell’ora, gli assicurerà il consenso dei migliori in ogni epoca per le qualità intrinseche e precipue della vera pittura, qualità che stanno nella stesura e nell’elaborazione della materia pittorica, che in Cavalli è di altissimo valore. Inoltre il tipo di pittura da lui adottato è il più arduo ma dall’esito più duraturo, in quanto si tratta d’una pittura non di “sensazione”, ma di “meditazione”.

Questo artista isolato, ma consapevole dei problemi dell’arte viva in ogni tempo, e in particolare del tempo attuale, ha inoltre presenti le conquiste formali che furono di Chardin e dei maestri della “misura” e della “durata” mediterranea: Giotto, Masaccio, Piero e Paolo Uccello, i maestri a cui si ispirarono i pittori della Scuola di Roma: Cagli, Capogrossi, Pirandello e lui stesso Cavalli, negli anni Trenta, artisti la cui visione architettonica degli spazi aveva in comune la lezione della pittura pompeiana e quella di Braque (i pittori della “Scuola di Via Cavour”: Scipione e Mafai operavano su una linea di tradizione pin recente e cioè di espressionismo sensibilista: Soutine, Chagall, Pascin).

Nella attuale pittura severa di Cavalli splendono alte conquiste di pura variazione tonale, come nelle nature morte: Bianchi (una vera sinfonia dove dominano i toni bianchi delle tazze, bottiglie e caraffe, alternati al rosa delle conchiglie e al blu dell’ampolla); Il pecorino senese con le mele verdoline sul panneggio bianco; Uova e pane, Zinnie; Il secchiello di rame; Formaggi; La chitarra; Oggetti; Cardo dipinti tutti che non sfigurerebbero accanto ad opere di Chardin o di Morandi. Vi sono momenti, fra le nature morte del Nostro, che seguono un aspetto giocondamente scherzoso tipico del suo temperamento, come: La damigiana, Il cavallino del dondolo. Ma i più alti canti lirici di Cavalli, secondo me, sono i suoi paesaggi: Vigneti in collina (i vigneti e la casa sulle dune assolate di Volterra paiono palpitare nell’aria trasparente piena di vibrazioni); Il muro nero (quel cielo non rammenta il Giambellino, e quel muro non è simile alla siepe “che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”?); Paesaggio Toscano; La svolta; Ruscello in secca; Il muro di cinta; L’Ema; Canne in riva al fiume sono tutte pitture che esprimono differenti timbri di sentimento. Chi ha saputo interpretare lo spirito del paesaggio toscano con tanto acuto amore dopo Soffici e Rosai? Ma Cavalli ci ha dato anche altre valide interpretazioni del Lazio, del Molise, e, soprattutto, del paesaggio pugliese.

Questo sereno artista mediterraneo, che sa imprimere cadenze e contrappunto alla sua pittura, invece di riprendere la luce fisica ambientale dell’oggetto o del paesaggio da lui rappresentato, preferisce infondergli qualcosa che lo illumina dal di dentro e che è il suo stato d’animo. Dice Cavalli: “Un pittore ripete un solo quadro nella sua vita. Un quadro deve essere come il cristallo a cui la natura ha lavorato innumeri anni. Se un cristallo viene spezzato, ciascun suo pezzo ripete la forma originaria del primo cristallo intero”

Il suo controllarsi, il suo non buttarsi mai allo sbaraglio in un mondo che offriva facili guadagni (e Cavalli ha passato anni estremamente duri) proponendogli avventure formali e informali d’ogni genere, l’alta nobiltà del suo sentire e del suo agire hanno contribuito a far grande questo pittore nei limiti che egli ha saputo scegliersi.

Perché Cavalli non ha aderito – come han fatto tanti suoi coetanei – ai moti delle più avventurose neo-avanguardie e alle tendenze del più spericolato intellettualismo o del più sfrenato neo-romanticismo? Perché egli è rimasto fedele (approfondendo e raffinando i suoi mezzi espressivi) a quanto egli scrisse nella sua autopresentazione nel catalogo della Il Quadriennale Romana del Febbraio 1935, dove diceva fra l’altro:

«A chi guarda non distrattamente la mia opera traspare l’ansia di voler racchiudere nel quadro un’architettura armonica schiva di ogni effetto superficiale. Evito l’inutile e l’enfatico preoccupandomi che il colore non sia l’attrattiva piacevole ma che il quadro si colorisca guardandolo. Anche per la composizione non vorrei che il gioco compositivo risultasse schematico e di evidenza sommaria, ma che guardando il quadro con “intelletto d’amore” apparisse a poco a poco l’armonia compositiva. Cerco di oggettivare con la massima chiarezza quello che sento della vita decifrandolo nel suo valore universale, spoglio cioè, nei limiti del possibile, da tutte le contingenze. La ricerca in questo senso “umana” mi discosta dalla pittura astratta o estetizzante. Sono tuttavia d’opinione che i vari significati (anche i letterari) dovrebbero esserci tutti in un’opera completa, generati dalle necessità costruttive: ecco perché il racconto diventa pretesto. È la plastica che dà forma al mito: l’interesse del racconto, col tempo cessa ancora prima delle qualità di superficie del quadro. Infine i mezzi ed il sentimento, senza che l’uno o gli altri prendano il sopravvento – questo è un carattere dell’attuale clima artistico – celano nell’opera i significati più sottili e le più segrete rispondenze. Non teorizzo prima di dipingere ma mi osservo ed osservo il mio lavoro»

Nei difficili anni trascorsi durante e dopo la guerra ad Anticoli Corrado prima e a Firenze in seguito, Cavalli ebbe gravi crisi spirituali e il suo animo rimase ferito da tanta violenza e dalla turbolenza di tante nuove correnti. Egli finì con l’isolarsi, pur continuando ad adoperare su una linea di vero onore artistico. Per fortuna sua, ebbe due o tre amici e qualche buon interprete delle rare esposizioni da lui fatte. Fra questi ricordo in particolare Virgilio Guzzi, Giovanni Colacicchi ed Onofrio Martinelli.

Di Virgilio Guzzi cito questo brano dalla presentazione al catalogo della Mostra di E.C. fatta a Firenze presso la Società “Leonardo Da Vinci” nell’Aprile del 1939:

 

«Desiderio di uno stile che è nello stesso tempo ambizione di un nuovo contenuto, nel quale i fatti umani piglino il primo posto, d’un linguaggio che giovandosi delle scoperte della pittura succeduta all’impressionismo, scoperte di una nuova metrica spaziale, d’un nuovo sentimento delle armonie cromatiche, e, soprattutto, d’un mondo sensibile svincolato d’ogni accidentale sensualità, miri alla rappresentazione di una umanità nuovamente accessibile, euforica, e, soprattutto a risolversi in racconti, in invenzioni di meditata architettura, in una metafisica non più evasiva, ma per così dire fiorente sulla riscoperta della realtà naturale. Una poetica codesta che, per un verso, come si sa, venne a sbocciare in un gusto detto della pittura “tonale”, per l’altro ha offerto a qualcuno l’occasione di alludere a riscoperte umanistiche, ad un rinnovato classicismo»

 

Di Giovanni Colacicchi trascrivo qui il seguente brano tratto dalla presentazione della Mostra di E.C. alla Galleria Michelangelo in Firenze, che ebbe luogo nel Febbraio del 1947:

 

«…le teorie valgono per la vitalità nuova che in ogni artista, ed anzi in ogni opera, acquistano e poi perché rappresentano una parziale verità, con la quale altre parziali verità fanno un tutto sempre diverso e sempre vero, che corrisponde poi alla realtà vera e singolare dell’anima e dell’opera dell’artista. Sulla base di queste convinzioni, alle quali si univano altre argomentazioni riguardanti la composizione nei suoi complessi aspetti lineari e volumetrici, il pittore Cavalli, mosso e sorretto dalla sua umana sensibilità e dal suo amore per le cose e per le persone che lo circondavano, ha compiuto le opere che più lo hanno fatto conoscere e ammirare in tutte le numerose esposizioni straniere e italiane a cui ha preso parte».

 

Del compianto Onofrio Martinelli riporto quanto segue dalla presentazione della Mostra di E.C., che venne realizzata alla galleria d’arte Santacroce in Firenze nel Gennaio del 1962:

 

«La sua concezione della pittura, rimasta sino ad oggi sostanzialmente immutata dopo decenni di attività, ha tenuto fede a quelle iniziali premesse, mentre la sua poetica allontanandosi dagli schemi necessariamente polemici degli inizi, o meglio, allargando gradualmente la sua sfera, è divenuta semplicemente lo specchio del suo modo di essere e di sentire».

 

La Mostra attuale di Cavalli merita una meditata attenzione. Il clima spirituale dei suoi quadri costituisce una sublime lezione di armonia e di coerenza. Lo sviluppo delle sue opere è ricco di una assai rara qualità di raccoglimento e le sue emozioni corrispondono alle nostre più delicate emozioni. La coscienza del pittore ha basi solide fondate sulla serietà e sulla densità del sentimento. Le sue variazioni cromatiche si muovono in una luce cristallina sospesa fra l’intuizione del suo sentire e la logica della sua ragione rivelatrice. Qui l’“umanesimo plastico” di questo pittore pieno di umiltà giunge ad elevata compiutezza. Per chi ama la poesia di Leopardi e di Cardarelli l’effusione tonale di Cavalli risuonerà come una ricordanza di ore felici con un sottofondo di cosciente malinconia. Questo poeta-pittore della Natura ricreata con fede e amore ci consola in mezzo alla disperazione (che disperde e annienta) tipica di tante teorie e tematiche odierne create a priori. E noi gli siamo grati del suo benefico dono spirituale.

Ben tornato, dunque, fra noi, Emanuele da Lucera, pittore fra i più veri d’oggi, uomo di grande onore, poeta sincero e sapiente maestro d’arte.

 

Romeo Lucchese

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